venerdì 9 luglio 2010

We are the One

Un'altra fanfiction su Star Trek ambientata dopo gli eventi narrati nell'episodio la Ragnatela Tholiana (uno degli episodi più significativi a mio parere...)

Un breve pensiero gettato su carta in metro...

Il punto di vista: Kirk

-WE ARE THE ONE-

Restai ad osservare i miei due ufficiali con una tale felicità in corpo...
Ero incommensurabilmente lieto di poter nuovamente assistere alle loro fraterne schermaglie verbali, tanto che non riuscii a trattenermi dal sorridere più volte.
Ero semplicemente commosso.
Commosso dall’epilogo della storia.

Non mi sono mai sentito più vivo.
Quest’oggi si è compiuto un piccolo miracolo.
Ed è stato loro il merito.
Certo, se non fosse stato per quest’angolo dell’universo forse non sarebbe accaduto.
Credo che la ragnatela, nella sua sinonimia di prigione, abbia giovato ai miei compagni più di quanto ci si potesse aspettare.
E’ istintivo attribuire ad essa una connotazione negativa, ma per i miei compagni non c’era nulla di più carcerante del pregiudizio e dell’orgoglio di cui erano schiavi.
La ragnatela con la sua stretta ha obbligato le loro menti a sfiorarsi, a schiudersi l’una all’altra.
In fondo Spock e Bones sono sostanzialmente due facce della stessa medaglia.
Così uguali e diversi nella loro complementarità.
Variabili della stessa natura.
Due numeri primi costretti l’uno all’ombra dell’altro.
Due mondi tristi, all’apparenza lontani il cui orgoglio torreggia nei loro animi impedendo loro di ascoltarsi, anche solo di percepirsi...

E quest’oggi si sono incontrati, forse per la prima volta.
Sono stati costretti a incrociare i loro sguardi, a scrutarsi, ad accogliere gradualmente e cautamente l’uno nella vita dell’altro, ad accettare la loro rispettiva indispensabilità.
Ora i loro occhi si esplorano giocosamente.
E posso affermare che finalmente si sono scoperti.
E’ un traguardo notevole.
Forse sono ancora lungi dal comprendersi appieno, d’altronde è presto, ma confido nella loro umanità, come loro sopportano la mia umana spregiudicatezza, sapranno sopportarsi e sostenersi a vicenda.

Le più grandi scoperte sono quelle che derivano dall’esplorazione dell’universo che è in noi.
Saper abbracciare le infinite variabili dell’infinità della nostra natura... e amarle.

Inscindibili nonostante le diversità.
Nulla di più bello.
Sono grato all’universo per questo.

Spock...Bones...Fratelli miei... Indivisibili.

Sì.Non potrei essere più felice.

giovedì 17 giugno 2010

- Un senso di Te -

E dopo quasi un anno...

Sulle note di Elisa, un piccolo tributo all'Amore.

[Fandom: STAR TREK - Pairing: Sarek/Amanda]


- UN SENSO DI TE -



Eppure è sempre presente, senza più vincolo alcuno, nella mia mente…il pensiero di lei…

Sarek…

L’ambasciatore sedeva ora in decoroso silenzio nel giardino che sua moglie aveva curato negli anni della loro vita assieme.
La lieve brezza che di tanto in tanto carezzava il suo volto aveva lo stesso caldo e timido tocco che la donna che aveva amato riservava lui nei momenti più intimi del loro amore. Talvolta quel venticello sembrava cantare il suo nome, nel medesimo modo, nella medesima intensità armonica con la quale Amanda soleva rassicurarlo, o rimproverarlo. Ma era sempre un piacere in entrambe i casi…qualunque fosse la natura di quel “canto”.
Per Sarek ora ogni flebile sospiro, ogni respiro, ogni movimento della natura che lo circondava risuonava della sua voce…e questo era di conforto al suo animo mutilato, che da poco aveva perduto quella parte di sé che sapeva di Lei.
Quei suoni erano l’unica cosa che ancora la teneva in vita nella loro casa… altrimenti il silenzio.
Il nobile, ma irrequieto silenzio del suo dolore il quale -contrariamente al profumo di Lei che inebriava ancora i suoi sensi- non aveva altro che il triste sapore di una realtà indissolubilmente amara.

Amanda… ricordarti…?
Ricordare… sapere che da ora in avanti questo sarà il verbo attraverso il quale sarò costretto a parlare di Lei e con Lei…è una consapevolezza alla quale rinuncerei volentieri…
Ma è un dovere verso di Te.
E verso di me.
Verso ciò che Siamo. Verso ciò che Eri…
No .
Dover parlare di Lei al passato…
No.
Verso ciò che Sei e Sarai sempre.
Il Passato è d’altronde un’illusione. Ma il ricordo è dolore.
Bruciante dolore.
Ciononostante sarebbe illogico non ricordare…
Io non dimentico. Questo lo sai bene…
E quindi ascoltiamo insieme questi ricordi. Per l’ultima volta.
Insieme.


All’ambasciata vulcaniana, quella sera, erano stati invitati diversi membri illustri della Federazione e della Flotta. La sala principale gremiva di gente. I presenti sfoggiavano abiti di diverso genere, che presi uno ad uno certo non spiccavano per sobrietà, ma nemmeno per eccessiva grossolanità, tuttavia l’insieme stonava in una cacofonia di colori con un’ambiente sostanzialmente umile, adorno e provvisto dello stretto necessario per rallegrare la serata.
Dal fondo della sala, difatti, si diffondevano le note di un Allegro di Mozart e questo bastava a rendere il ricevimento estremamente gradevole. Si mormorava che fosse stato lo stesso Sarek a richiedere la musica del compositore viennese e questo provocò nei presenti un moto di stupore e autocompiacimento.
Amanda Grayson spiccava in quel mare di opulenza per la sua modica eleganza. Era una donna all’apparenza gracile, ma aveva portamento, i suoi gesti erano aggraziati e misurati e sul suo volto sembrava eternarsi un sorriso cortese e sincero. Era evidente però che con certi eventi non aveva ancora acquisito familiarità, sebbene sapesse portarsi, si poteva ancora cogliere nei suoi atteggiamenti talvolta impacciati e nel suo parlare altalenante un certo imbarazzo. Ma un imbarazzo dovuto perlopiù all’umiltà di una semplice insegnante la quale aveva da poco ricevuto un’onorificenza alla carriera e che avrebbe avuto a breve l’onore di sedere nelle università più prestigiose.
Quando uno dei rettori più rinomati volle presentarla a Sarek, la donna ostentò un certo tentennamento.
Questa soggezione si eclissò nel preciso istante in cui vide una mano protendere verso di lei. Amanda rimase un attimo attonita.
L’Ambasciatore voleva stringerle la mano come consuetudine terrestre.
Quel gesto così umano solitamente contrastava con lo stoicismo vulcaniano, ma Sarek, sebbene seguitasse nell’ostentare una certa rigidità e austerità, aveva avuto modo di acquistare dimestichezza con gli usi e i costumi terrestri tanto da desiderare di sperimentarli, e quel gesto, così, con la sua persona si accordava magnificamente.
Amanda, inizialmente, pensò di ricambiare il saluto nel medesimo modo, ma poco dopo comprese di dover rendergli omaggio nella maniera più consona alla sua natura e invece di ricambiare la stretta di mano, levò la stessa dividendone le dita e pronunciando il tipico saluto in un vulcaniano decisamente accettabile.
Allora Sarek inarcò un sopracciglio sorpreso e incuriosito, attratto da quella donna così amabile, e da quegli occhi di un celeste così vivo al quale i suoi non erano abituati e dalle gote accese di un colore altrettanto gradevole.
Quella fu l’occasione in cui comprese che doveva trattarsi dell’inizio di un incanto spaventevole e delizioso, destinato a perseguitarlo nel tempo.
Il prologo di un amore…?

Amanda…

L’Amore. Sperimentare l’amore e analizzarne le cause e le conseguenze sarebbe stato logico. Ma non si trattava di un’equazione risolvibile con la ragione, e questo lo innervosiva. Lo intimoriva e intimidiva. Era un’equazione le cui variabili non erano calcolabili. E le cui incognite…
“Ma questa non è scienza, Sarek!” lo rimbeccò Amanda un giorno con una nota di sdegno “E non è un problema di matematica!! Non siamo numeri…ma persone! Non c’è una soluzione logica…” sebbene Sarek avvertisse in lei un moto di risentimento, la vide sorridere mentre gli veniva incontro per prendere le sue mani tra le sue e depositarvi un lieve bacio. Sarek si ritrasse delicatamente, i suoi occhi confusi si posarono su quelli della sua promessa sposa sondandone la profondità per attingere da essi una risposta.
“…Noi siamo la soluzione,Sarek…e la nostra unione è meglio della somma delle nostre diversità…non sono forse queste parole di Surak?”. Egli annuì flebilmente mentre sul suo viso fioriva un sorriso silenzioso appena percepibile. Amanda intanto osservava quei moti quieti e timidi dell’animo dell’uomo che amava. Il pudore attraverso il quale tentava invano di nascondere la timidezza era di una bellezza commovente. Lei gli si riavvicinò invitandolo a condividere il loro vincolo per mezzo dell’unione delle loro dita. Sarek obbedì a quella richiesta, mentre Amanda portava le sue labbra su quelle di lui. Il vulcaniano sgranò gli occhi a quel tocco…piacevole. Poté chiaramente, e distintamente percepire ogni cosa. In lei l’amore così radicato era un continuo germogliare di nuove letizie e Sarek ne era parte integrante, parte integrante di una serenità che non aveva nulla a che vedere con la logica...

Nulla…


“Serenità?...”
“Sì, Amanda…la logica ci conferisce una serenità che gli umani raramente raggiungono.” Ripeté. Amanda si mostrò dubbiosa.
Entrambe sostavano immobili sul ponte di San Francisco, sopravvissuto alle numerose intemperie del tempo, che fiero e ritto dominava il mare sottostante permettendo a tutti coloro che vi posavano piedi insicuri di poter godere della sua protezione, della bellezza dell’oceano e della serenità di poter pensare in libertà, cullato dall’ondeggiare di quell’azzurro così rassicurante.
L’ambasciatore seguiva il moto di quelle onde con occhi incantati. Il suo sguardo era impegnato a scandagliare l’immensità del mare per carpirne il senso di tanta meraviglia, e per comprendere il motivo della capacità di quelle acque di poter rasserenare il suo spirito.
Alla luce di quest’arcana serenità – conseguenza di una scrupolosa e ostinata osservazione di quella vasta distesa d’acqua- Possibile che la forza illuminante della logica, l’unica motrice della sua esistenza, potesse perdere così ogni valore?
Per un frangente, dubitò della giustezza della sua logica convinzione. Allora pensò che quella perplessità non doveva essere sfuggita alla sua compagna.
“E’ così…” confermò l’esattezza della sua affermazione, senza distogliere lo sguardo dal mare.
Amanda, contrariamente al suo compagno, aveva come oggetto in esame proprio Sarek.
I suoi occhi ricercarono insistentemente quelli dell’uomo il quale fu costretto a incontrarli. Ed ora, incredibilmente, fu come non aver mai distolto lo sguardo dalla meraviglia della natura. Ritrovare quella stessa serenità in quell’azzurro vivo, vibrante decisamente più familiare,consolante e umano era ciò che rendeva la sua futura consorte il più bello, entusiasmante ed incomprensibile mistero della natura stessa.
E allora comprese che la serenità era sì una costante, ma era mutevole e pertanto non necessariamente conferitagli dalla semplice e rigorosa logica e dall’equilibrio che ne derivava, e che inoltre seguiva un moto ondulatorio, un altalenare che poteva raggiungere sommità a lui sconosciute, indefinibili…
E non avevano un nome.
“E la felicità dov’è in tutto questo?” improvvisamente domandò seria Amanda.
Sarek non rispose.
Si limitò ad osservare quel suo bel mistero, accennando un lieve sorriso.
E ancora una volta Lei fu in grado di offrirgli la risposta.

Amanda, allora non fui in grado di risponderti…
Quelle sommità avevano un nome.
Ecco.
Felicità.


Ma la felicità non era una condizione necessaria.
Per un vulcaniano non era una condizione accessibile, non era un pensiero concepibile e pertanto non rappresentava un traguardo perseguibile...
Non era logico.
Era una chimera. Un capriccio umano che Sarek sentiva di doversi concedere.

Doveva sposare Amanda.


“Dunque è questo il tuo volere, Sarek?”
La domanda di T’Pau riecheggiò, nelle orecchie del giovane ambasciatore, imperiosa e traboccante di una severa incredulità. Sebbene fosse un terminale a dividerli, Sarek percepii nel tono di voce il grave disappunto che l’anziana vulcaniana tentava di lenire con leggeri e impercettibili sospiri, ma il suo volto contratto tradiva le sue intenzioni.
Ricordare il malcontento di T’Pau era sempre un’esperienza poco felice, ma pensare alla felicità che invece derivò dal perseguire la propria scelta rendeva quel ricordo di un tale pallore…
“Sì, T’Pau… è il mio volere.” Rispose con fermezza.
La donna inarcò un sopracciglio, dubbiosa. Era raro scorgere in lei un moto, seppur appena percepibile, emotivo, ma in quell’istante, l’ambasciatore poté chiaramente notare i lineamenti del suo viso incrinarsi in quel che si poteva identificare come un moto di contrarietà e…delusione?.
“Sarek… non vedo ragione per la quale negarti il matrimonio. Ma non vedo la logica…nella tua ostinazione a pretendere come sposa quella terrestre.”
“La mia non è un’ostinazione illogica, T’Pau… neppure una pretesa. E’ un desiderio.”
“Il desiderio è fuorviante, ingannevole. La tua ragione vacilla, Sarek…”
“Tu metti in discussione la mia ragione, ma è la mia scelta a darti pensiero. Sì, T’Pau…ho scelto un’umana. Questo è il mio volere.” La tenacia ed il vigore con il quale ripeté le ultime parole provocò nell’altra un guizzo amaro della bocca.
Sarek desiderava Amanda, ma era un desiderio logico, posato, controllato, non era il frutto di un inganno, uno scherzo dei sensi. Era una necessità. Un desiderio che aveva una forma, consistenza, un profumo inebriante, delicato. Un desiderio il quale non necessariamente doveva ottenebrare la ragione…
E inoltre, contrariamente alla caustica passione del “Tempo”, questo sentimento aveva un tocco carezzevole, candido, di un’incomparabile squisitezza.
Dolce.
Un sentimento che trascendeva ogni pensiero, pur avendo ragione d’essere.
C’era una logica.
Doveva esservi…

Inoltre aveva il diritto alla felicità.

Amanda era quella felicità.
Il suo miracolo della natura.
E il Ricordo di quella notte...
Il Ricordo della loro notte....
Il ritmico e armonico battito delle loro due nature unite.
Sentire il cuore di Lei in petto...
E qualche mese dopo sentire fra le sue mani il frutto di quel miracolo che il loro Amore gli concesse...

Spock...

“Padre.”
Sarek si voltò di scatto. Il loro miracolo sostava poco lontano, ostentando una certo imbarazzo...
“Spock...?” disse visibilmente sorpreso ed improvvisamente comprese che tutto non era perduto, che quella parte di sé che sapeva di Lei era ancora viva, solo che non risiedeva più in lui, ma aveva un corpo, una coscienza ed era viva. Soprattutto viva, palpitante.
Spock...
“Ero certo di trovarvi qui.”seguitò l’altro timidamente.
L’Ambasciatore non rispose, ma lo invitò a sedersi.
Osservò il figlio mentre prendeva posto accanto a lui e quando questi si accorse che era sotto osservazione, Sarek distolse subito lo sguardo.

“Abbiamo molto di cui parlare.”
Spock mosse il capo in un cenno di assenso.
“Ora però ascoltiamo...”
L’Ambasciatore levò gli occhi al cielo socchiudendoli.
L’altro comprese e fece altrettanto.
“Ascoltiamo...”

Ogni flebile sospiro, ogni respiro, ogni movimento della natura...

Amanda.

domenica 2 agosto 2009

"I have a dream..."

Seguire i propri sogni può essere pericoloso.
Ma rinunciare a seguirli può rivelarsi fatale...

Cos'è un uomo senza sogni se non l'ombra di se stesso?

venerdì 27 febbraio 2009

Ma...la speranza?


Colloquio tra Max Brod e Franz Kafka:

<Brod dice, - di una conversazione con Kafka, che partiva dall'Europa attuale e dalla decadenza dell'umanità. "Noi siamo", egli disse, "pensieri nichilistici, pensieri di suicidio, che affiorano nella mente di Dio". Ciò dapprima mi fece pensare alla visione del mondo della gnosi: Dio come cattivo demiurgo, il mondo il suo peccato originale. "Oh no" egli disse, "il nostro mondo è solo un cattivo umore di Dio, una cattiva giornata". Al di fuori di questa manifestazione, di questo mondo che noi conosciamo, ci sarebbe quindi speranza". Egli sorrise: "Oh certo, molta speranza, infinita speranza, ma non per noi">>

Perfetto. Fin quando resteremo su questa terra - come su di Atlante- graverà sulle nostre spalle il peso del Mondo e la sua cosmica condanna.
E siamo così destinati a languire nel peccato, cullando l'unica speranza di un "rinvio del giudizio".


giovedì 19 febbraio 2009

Il Gotico...sensuale?

Qualcosa mi sfugge.
"Il Gotico è sensuale". Una frase che mi ha riporato alla mente simpatici ricordi.
Nell'aula dove seguivo una lezione di Storiadell'Arte Moderna, questa frase ha ridestato in me una cara melanconia.

Rammento, infatti, gli ultimi 2 anni passati alle Superiori, dove la buona prof.ssa C. di Storia dell'Arte (dai gusti artistici alquanto bizzarri, ma non sempre biasimabili) si dilettava a sottolineare - ogni tanto- la sensualità di un'opera d'arte o l'erotismo di essa.
Frasi che in quest'arco di tempo si susseguirono di certo non raramente...tanto che, ben presto, divennero autentiche leggende.
La parola "sensuale" divenne, così, un simbolo di ilarità, nonché un segno distintivo ed un chiaro omaggio alla professoressa (omaggio, s'intende, dalla nostra bocca).

Esempio:

La "Paolina Borghese" o "Venere Vincitrice" del Canova.
Un'opera che ha acquistato per noi gran valore per la frase "Quest'opera del Canova è sensuale, NON erotica...ricordate".
Queste sono le cose che permangono nei meandri della memoria... ammonimenti del genere, quasi come se asserire il contrario fosse blasfemia.

Ma non è questo il punto.
Torniamo al principio "Qualcosa mi sfugge".
"Il Gotico è sensuale".
Un'affermazione che mi ha dato da pensare e sulla quale continuerò a pensare. Certo è che il Gotico è uno stile sublime, emblematico, onirico...ma da qui alla sensualità quanto il passo può esser breve?
Ammetto che a Praga (se non erro-e sinceramente non credo di sbagliare- mi sembra che sia la città più Gotica d'Europa) mi lasciai conquistare (non facilmente) e cullare da questa "mammina con gli artigli" (un'immagine assai poco rassicurante...) e alla fine, mi abbandonai totalmente al fascino di una città dove tutto parla, sussurra...è un continuo sussurro.
Dinnanzi alla grandezza (e all'altezza?) del Gotico non si può che sussurrare. Rompere il silenzio è come spezzar un incantesimo che ti ammalia.
E quindi sarebbe come parlare di sensualità?



Forse mi sono risposta da sola?

venerdì 2 gennaio 2009

Frammenti -IV -

Siamo come isole sospese. Sotto di noi né oceano, né cielo né terra. Solo abisso.
L'abisso delle nostre esistenze. Incolmabile.
Talvolta ci si sfiora, talora ,disgraziatamente, un nuovo allontanarsi.
Eppure basta un niente.
Levare un ponte affinché ci si possa infine ritrovare.
Perché tanto arduo appare?
E' un niente.
Non si è stanchi di sopravvivere -perché questo non è un vivere- in una tale dilaniante solitudine?
Perché una simile indifferenza?
Riuniamoci. Torniamo a noi.

[L'opera di René Magritte NON rispecchia fedelmente questo "scarabocchio" , ma ricordo che quando ero piccola, sfogliano il libro di testo dell'elementari, i miei occhi si posarono su questo dipinto e,allora, non ne rimasi affascinata, tantomeno meravigliata...ciò che provai fu terrore. Il mio "stream of Consciousness" mi ha portato alla mente solo questa immagine. Oggi osservandola sorrido, ma allora sicuramente percepii un qualcosa di ciò che ora ho scritto.]

giovedì 1 gennaio 2009

Premio Dardos

Che dire. Questo è il secondo premio che ricevo e ne sono entusiasta!
Considerando quanto è giovane il mio blog, ritengo questa cosa alquanto positiva e me ne compiaccio.

Pertanto ringrazio nella maniera più assoluta
xtravaned non solo per il premio, ma soprattutto per le care parole (troppa bontà) con la quale ha motivato la sua scelta.
Grazie.


Per quanto riguarda le regole di questi premi, concordo pienamente con il mio "collega" sopra citato [vedesi questo post] e aggiungo inoltre che sarebbe opportuno, quando il premio viene consegnato, poter spaziare nel tempo, affinché non si abbiano anche certi obblighi...mi spiego meglio: a volte può capitare al momento di non aver alcun blog da premiare , ma questo non significa che non si può consegnare il premio in un secondo o terzo luogo. In tal modo eliminiamo il fattore "tempo", che in certe cose non serve proprio e la pena dal cuor per certi obblighi.

lunedì 29 dicembre 2008

Nuovo Template - Tributo a Josef Sudek

Dedico questo post e -come ben vedete - il template (da me realizzato) ad un grande fotografo ceco, Josef Sudek (Praga 1896 - 1976). Quest'uomo ha votato la sua esistenza alla fotografia, donandosi ad essa con gran sacrificio (perse un braccio durante la prima guerra mondiale) e con immensa umiltà ed, armato di tali virtù, ha immortalato nelle sue foto la quotidianità.
E così anche la banalità di semplici oggetti si trasfigura in splendore, ed essi diventano esempio della magnificenza del creato...

Qui di seguito posto alcune delle sue foto. (Perdonate la scarsa qualità dell'immagine)


atelier del fotografo - J. Sudek



Quest'ultima è testimonianza dei lavori di ricostruzioni della Cattedrale di San Vito a Praga, durante gli anni '20.




sabato 20 dicembre 2008

Gita a Praga - I giorno-

Venne il pomeriggio. Scendemmo nella hall dell’albergo. Io del tutto scostante. Il mio essere si intrise di tutto il ribrezzo possibile. Ci dirigemmo con flemma verso la metropolitana.

Ora. Se fino a quel momento credevo che il freddo tagliente provato all’aeroporto e davanti all’albergo fosse l’unico a cui il mio povero corpo si sarebbe dovuto abituare – e d’altronde avevamo già stipulato un accordo- bè… dovetti riaprire il negoziato!.

E così per il tragitto metropolitano il mio corpo non sentì ragioni. Soprattutto per le scale mobili!

C’era un che di esagerato: come si è potuto progettare delle scale tanto veloci?con quale perfidia?o con quale perversione?

Scesi dalla metro a namesti republiky (Piazza della Repubblica), ci dirigemmo in Piazza Venceslao, centro della Città Nuova. Ovviamente a guidarci furono i nostri cari professori: la professoressa G., la quale da lì in avanti non ci avrebbe più degnato di uno sguardo (ci ha sapientemente privati della sua presenza senza avessimo commesso alcun delitto o infamia alcuna!), il professor V., con al seguito l’intera marmaglia maschile (un individuo simpatico,ma alquanto infantile e libertino. Giustamente il resto vien da sé…), la professoressa C. (la più savia, ironica del gruppo) ed infine…il solitario, misterioso, tenebroso, ma per nulla affascinante vice preside G., venuto non in veste di accompagnatore. Imperscrutabile sino alla fine, ha dato da pensare…(ma di questo ne parlerò più avanti…un mistero è ancora aperto).

Ci trascinammo per la Piazza con poco entusiasmo. Molti,intanto, adocchiarono subito l’Hard Rock Cafè, (posto nella strada dalla quale giungevamo). Piazza Venceslao era colma di bancarelle dalle quali si levavano nell’aria odori dolciastri e, qualche volta, si insinuava prepotentemente nelle narici l’odore forte della carne. Bancarelle simili a piccole case, piacevoli all’occhio per via del colore rosso dei tetti, il quale smorzava la monotonia del grigiore circostante. Alla fine del largo viale (perché è così da definire, Piazza Venceslao), spiccava l’edificio del “Museo Nazionale”, in tutta la sua magnificenza. Per noi rimase solo oggetto di contemplazione…

La stanchezza faceva da sovrano, ed io, F., M., D. e Fr. Rimanemmo ferme a contemplare il vuoto per una serie di minuti. Io dovetti violentemente capacitarmi di essere in terra straniera, il panico si impadronì di me, pertanto, ad un sms di mio fratello, risposi malinconica e angustiata “Voglio tornare a casa. W l’Italia” .

Questa giornata fu particolarmente ridicola e per nulla proficua, difatti, una volta rientrati in albergo ci chiudemmo nelle nostre stanze, credendo di poterci rifocillare un poco almeno mediante la cena. Cosa che,purtroppo, non avvenne.

Allorché fu l’ora di cena, ci precipitammo giù speranzosi, ma ciò che trovammo ci disgustò e sprofondammo nell’amarezza più profonda. Il cibo dell’albergo lasciava molto a desiderare. Le uniche cose con la quale mi riempii il piatto furono delle polpette. Piacevoli, ma a lungo andare nauseabonde.

La signorina D., forse, si sentii colma di orgoglio in quel mentre, perché, una volta tornati su, piena di sé e fiera del suo buon senso, esibì i suoi viveri (formati da crackers e ciambelle al vino), lasciandoceli rimirare (ma non negandoceli).

La notte la passammo “insieme”.

In me e D. ardeva il desiderio di fare una telefonata al nostro amato professor A. Telefonata che al fine non avvenne….

Sebbene Praga non promise nulla di buona, e malgrado i miei grotteschi propositi di fuggire (e tali fantasie rimasero almeno sino alla fine del secondo giorno), mi assopii felicemente (beninteso, una felicità data solo dall’opportunità di dormire).

D. non dormì mai nella nostra stanza (un qualcosa della quale tutt’ora si pente, e se ne rammarica).

In questa notte anche B. venne a farci visita, addormentandosi con noi.

to be continued...

lunedì 15 dicembre 2008

Gita a Praga - Arrivo in albergo -

Giunti dinanzi all’albergo, mi meravigliai 1. Dell’albergo in sé 2. Dell’albergo che sicuramente non era situato al centro, come si garantiva. 3. Di come il mio corpo avesse avuto pietà di me e di come nessun arto e nessun altro organo si fossero ribellati a quella condizione e mi meravigliai, quindi , di come si trattenessero nella loro interezza, cosicché nessun pezzo si sarebbe potuto perdere più per strada.

In stanza con F. M. e X. (la quale si vide bene dal restar con noi. Non si sarebbe divertita)

Le prime parole della professoressa G. (vecchia volpe) con il suo inconfondibile accento napoletano “Ragà!fate attenzione!questi faranno di tutto pur di toglierci i soldi!controllate bene la stanza…che tutto sia apposto!”.

Subito all’opera. X. Filmò l’intera camera con i suoi difetti e pregi. Un video è una prova più che schiacciante.

Stanza non tanto grande. Divertente l’apertura della porta mediante scheda magnetica. Armadio all’entrata con di fronte il bagno. 3 letti smistati orizzontalmente per la stanza e un non-letto solo soletto posto verticalmente tra un tavolo ed un mobile con frigorifero. Nacque in me una simpatia per quella sottospecie di letto. Nessuno lottò per aggiudicarsi quel posto, pertanto divenne subito il mio letto. Visione per nulla affascinante dalla finestra, nemmeno Alfred Kubin avrebbe potuto trarre alcunché da quella visione. Parcheggio e supermarket di fronte (mezzo della nostra salvezza futura). A lato un cantiere aperto…

Desolante,si.

D. non era in camera con noi. Suo dispiacere. Nostro rammarico. Almeno era in stanza con Fr. (amica dell’altra classe).

Disperata per il viaggio e per la pessima impressione che ricavai dal tutto (sino a quel momento), mi lasciai cadere sul mio non-letto. Mi adagiai contro la parete e lì rimasi. Intanto ascoltavo il vociare delle mie tre compagne.

M. ,entusiasta, balzava da un letto all’altro ed i miei occhi la seguivano pigri ma attenti, sospettando un suo possibile salto sulla mia “brandina” e ,di conseguenza, temendo per la mia incolumità…

Ad un tratto , proprio come pensavo, ella saltò sul non-letto. Non cercai di fermarla, ma almeno mi gettai - nell’istante dell’impatto- sul letto di fronte, allibita.

Un rumore sospetto non lasciò presagire nulla di buono. Infatti, la situazione s’incrinò (come se la perfezione che pregustavo dalla mia prima gita non si fosse già infranta…).

Nell’aria si levò un “Che è successo?!”. Accadde che una doga si spezzò sotto di lei.

Ci assicurammo che almeno le altre fossero intatte, tuttavia, ne notammo una certa fragilità…

Capimmo che il video non avrebbe testimoniato in nostro favore, giacché tutto era stato filmato tranne che il letto…malgrado ciò, fiduciose e in buona fede, andammo a chiamare qualcuno per la sostituzione del letto, confidando nella magnanimità dell’albergo.

Un uomo giunse poco dopo. Poco appariscente, piccolo di statura, dall’aria leggermente bizzarra. Silenzioso, tirò fuori della stanza la brandina. Rientrò per recuperare la doga e, andandosene, lanciò un’occhiata particolare a F. – la quale si era piazzata davanti all’armadio, nei pressi della porta- dandole, con l’asse da legno, una leggera, affettuosa pacca su una coscia.

Trattenemmo a stento delle risa, ma quando egli fu lontano, sbottammo a ridere.

F. rimase attonita. Si ritrasse sbigottita esclamando “Ma che vole quello?!?”.

Qualche minuto dopo, l’ometto fece ritorno con un nuovo non-letto. Una volta conclusa la sua mansione, sorrise buffamente e si congedò con un breve inchino, il che ci lasciò ancora più di stucco. Un individuo alquanto eccentrico…

(Ora come ora posso dire che ricordava molto uno degli assistenti dell’agrimensore K. ,la qual cosa mi inquieta e mi diverte al tempo stesso pensando all’ironia della cosa. In fondo eravamo pur sempre a Praga!)

Nel mentre, venimmo a sapere che nel pomeriggio avremmo solamente familiarizzato con la città e nulla più.

Malgrado la stanchezza, osservando il cielo limpido, quasi mi convinsi a passare il resto della giornata con gioia, tuttavia, il massimo che ottenni da me fu di viverla solo con una avvilente serenità…

to be continued...